Adelaide Malanotte
MALANOTTE Adelaide
(Verona, 7 gennaio 1785 - Isola del Garda, 31 dicembre 1832). Di Antonio "agente di fondaco" e di Rosa Girelli, ultima di nove figli. Cantante mezzo soprano e celebre "prima donna" di molte rappresentazioni liriche dalla maestosa bella presenza. Foscolo la chiamò "la bella cantatrice dagli occhi nerissimi" e Giovanni Pindemonte le dedicò il sonetto "Benchè s'oda talor soave il canto" nel quale lodò l'artista e assieme la donna. Il Lechi soggiunse che ebbe "spiccato ingegno, efficacia di espressione nella parola e nel gesto... un nobile cuore che tutto in lei informava". In una sua descrizione il conte Luigi Lechi, la dice nata "da agiati parenti" e informa che "quasi bambina" cantò da natura, giovinetta, a diporto, apprese la musica e fu udita dal sommo Paisiello che la stimò capace di ogni progresso". Si narra anzi che Paisiello restasse tanto meravigliato dalla bellezza della sua voce e dalla correttezza del suo canto da desiderare di conoscere il maestro che l'aveva istruita che altri non era che un povero e oscuro musicante della cattedrale. L' 11 ottobre 1801, a sedici anni venne maritata, con speciale dispensa, in casa sua con Giacomo Montresor, dimorante a Verona, ma secondo il Fètis, francese. Dal matrimonio nacquero due figli: Giovanni Battista (nato il 10 settembre 1802) musico e dimorante in Brescia e Antonio (nato il 19 agosto 1803). Continuò comunque a coltivare il bel canto e piena di sventure e ristrettezze familiari si decise, scrive il Solitro, a trarre "profitto del dono che aveva sortito da natura e a darsi al teatro". Debuttò a Verona nel 1806 e fu subito scritturata per il teatro di Brescia. Nel 1810 cantava a Torino, al Teatro Valle di Roma, nella prima esecuzione dell"`Alzira" di M.A. Monfron (settembre 1810) e quindi al Teatro delle Dame accanto alla Malibran nella cantata "Il re di Roma" di Migliorini. Nel 1811 ripetè con grande successo "l'Alzira" a Monza e nella primavera e autunno di tale anno fu scritturata al Teatro Argentina a Roma. Nel 1812 cantò a Firenze. Scrive il Solitro che però la sua voce di contralto, dall'espressione energica e tenera insieme, non aveva potuto mostrarsi in tutta la sua pienezza per mancanza di un'opera adatta ai suoi mezzi vocali, fino a quando conobbe a Venezia Rossini che scrisse per lei il "Tancredi", giungendo perfino al punto di cambiare l'aria di sortita del protagonista perchè a lei non gradita. Comunque al "Tancredi" la Malanotte legò il suo nome, interpretandolo come protagonista nel 1812-1813, uguagliata poi solo dalla Pasta e dalla Malibran. La Malanotte ripetè il Tancredi poi a Ferrara, al Comunale di Bologna (nell'estate 1814) ed in altri teatri diradando poi le sue comparse. Nel carnevale 1821 sollecitata dai suoi concittadini cantò a Verona, e in ringraziamento le fu offerta una medaglia con il motto: «Al cantar che nell'anima si sente». Colpita poi da una malattia cerebrale, cercò sempre più frequenti riposi. Raccolse gli ultimi trionfi a Bergamo e a Bologna; ma il Fètis scrive che ormai non sembrava che l'ombra di sè stessa. L'Enciclopedia dello Spettacolo la ritiene "Figura di grande rilievo nell'ambito della primissima generazione dei contralti rossiniani, e certo dotata di agilità e virtuosismo, la Malanotte fu tuttavia un'espressione dell'incertezza, ancora perdurante, del rapporto voce-ruolo e della conseguente tendenza ad impiegare i contralti in sostituzione degli evirati, per fini prevalentemente belcantistici e avulsi, per contro, da intenti realistici. Al pari della Marcolini, di E. Mombelli, della Pisaroni, la Malanotte si specializzò nell'interpretazione di personaggi maschili ed epicheggianti e finì col rappresentare il prototipo dell'«amoroso» in cimiero e corazza, ruolo fino allora sostenuto, con immenso successo, dal sopranista Marchesi. Era in ciò favorita dalla splendida figura, dalla nobiltà e plasticità del gesto (uno dei suoi grandi momenti era, nel Tancredi, il duetto con Argirio, allorchè, sguainando la lama, intonava con slancio trascinante la frase «Il vivo lampo di questa spada»). Della sua voce, aperta a larghi fraseggi, schietta e vigorosa, Hèrold, che l'udì a Napoli nel 1818, criticò il timbro, che richiamava troppo il suono del corno inglese, lodando peraltro senza riserve lo stile, il gusto, l'intonazione. Cantante essenzialmente «patetica», la Malanotte si misurò con successo anche nel genere comico (ad es. La Contadina bizzarra di G. Farinelli, Padova 1813). Il Regli afferma che "cantava con una grazia affascinante, e quello che con leggiadria de'modi rade volte si trova cantava con un'energia e un'espressione veramente mirabili" e soggiunge che "fruì, a suoi tempi colossale riputazione". Non si sa quando conobbe e intrecciò un lungo amore con il conte Luigi Lechi. La polizia austriaca la segnalava già assieme a Livorno nel 1816, e soggiunge che il conte la "seguiva costantemente". Fu comunque un amore che durò immutato per lunghi anni tramutandosi "un po' alla volta, come scrisse Giuseppe Solitro, in amicizia dolcissima" che durò fino alla morte prematura della cantante. Il conte ospitò all'Isola la famiglia della Malanotte, cioè il marito e i due figli. Qualcuno scrisse che morì in estrema indigenza e quasi folle e che probabilmente condusse una vita disordinata e fu dedita all'alcool. Il conte Lechi che le fu vicino fino alla fine, decantò il suo nobile cuore e scrisse che "morì imperturbata a soli 47 anni desiderando che le spese del suo funerale fossero tramutate in elemosine ai poveri, con cui fu sempre tenera". Soggiunge poi che venne sepolta nel cimitero di Salò ove nell'ultimo colera (1836) sconciamente sconvolto il sacro terreno, le sue ossa furono colle altre confuse e ne andò perduta ogni traccia. Lo stesso conte Lechi pubblicava in sua lode "Epistola" in versi dedicandola all'architetto Rodolfo Vantini. Anche suo figlio Giovanni Battista Montresor, fece fra il 1840 e il 1860 trionfale carriera, come tenore soprattutto nell"`Otello" di Rossini e nel "Belisario" di Donizetti e a lungo rimase il ricordo dei suoi trionfi all'Avana. Venne chiamato il "Rubini dell'America". Si ritirò però presto dalle scene e fini ad insegnare bel canto a Bucarest. Dimorò anche a Brescia.
EB – Enciclopedia Bresciana di Antonio Fappani
Fondazione Civilità Bresciana
Brescia
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