Ildebrando Pizzetti.
A Parma, dove nacque il 20 settembre 1880, Ildebrando Pizzetti iniziò e compì la sua coltura musicale tecnica, prima sotto la guida del padre (che era pianista ed insegnante di pianoforte) indi al Conservatorio della città nativa, donde uscì diplomato nel 1901.
Negli ultimi anni di permanenza in quell'istituto, il Pizzetti ebbe la fortuna di trovare nel maestro Giovanni Tebaldini (nominato direttore del Conservatorio nel 1897) una guida artistica e spirituale, che seppe intuire ed assecondare le innate qualità del giovane musicista, sì che nell'indirizzo degli studi queste trovarono il miglior aiuto per un felice sviluppo.
La tendenza essenzialmente vocale della natura artistica del Pizzetti, ebbe infatti nutrimento vitale nell'assiduo e appassionato esame dei grandi modelli di polifonia vocale italiana e delle antiche melopee gregoriane, che il Tebaldini offriva all'occhio avido dell'allievo prediletto.
Non fu caso che questa tendenza polivoca, innata e coltivata, sboccasse nell'alveo che meglio le conveniva, nell'opera teatrale cioè, poichè questa, fra tutte le forme musicali, riunisce nel modo più completo le varie possibilità dell'espressione vocale, nelle gradazioni dal semplice al complesso, dal lirico al tragico.
Sono infatti del tempo, in cui dalla crisalide dello studente stava per uscire l’artista, i primi tentativi pizzettiani di dramma musicale, con Sabina (un atto, inedita), Giulietta e Romeo (4 atti, inedita), Il Cid (un atto, inedita), Lena (incompiuta). Tutte esperienze giovanili, che servirono al maestro parmense per spiccare più arditi voli, prima con la musica di scena della Nave (1906) e della Pisanella (1913) di D'Annunzio, poi con Fedra (1914) su poema pure di D'Annunzio. E' questo il primo lavoro, in cui le lunghe e operose meditazioni del Pizzetti intorno al teatro musicale si concretano in un tipo d'opera, dove il discorso sonoro si compenetra così intimamente col dramma, da non ammettere soste o compiacenze di sorta in nome di un lirismo astratto e meno ancora a servigio di qualsiasi edonismo sensorio: una specie di ascetismo espressivo insomma, che trae eloquenza dalla sua stessa austerità e dalla purezza somma delle proprie intenzioni.
Un siffatto ideale di teatro melodrammatico ebbe più tardi intera affermazione nelle opere che il Pizzetti compose su libretti propri, e cioè in Dèbora e Jaèle, in Fra Gherardo e ne Lo Straniero, frutto degli ultimi quindici anni della sua attività creativa, documento della sua maturità artistica, suggello della vocalità, in cui si traduce il suo istinto drammatico.
Giacchè non solo in questi lavori strettamente teatrali, ma anche in quelli di genere affine, come le musiche per la sacra rappresentazione di Abramo e Isacco (da Feo Belcari), quelle per la Pisanella e per l'Agamennone di Eschilo (1931), finanche in parte delle sue liriche da camera e delle sue composizioni corali a sole voci come la Messa da Requiem e Per un morto, si rivela la persistenza dei due caratteri più decisi dell'arte pizzettiana, e cioè il senso drammatico e la spontanea natura vocale — direi quasi verbale — della sua espressione, armonicamente congiunti, sì da formare uno stile inconfondibile.
Non è perciò meraviglia se l'artista, che ha trovato una via così decisa per manifestare se stesso, vi si mantenga anche quando egli tratta un genere ben diverso da quelli in cui predomina la voce umana: voglio dire il genere sinfonico, in cui pure il Pizzetti ha lasciato larga e nobile traccia della sua operosità. È stato detto a questo proposito che il discorso degli strumenti nella musica di Pizzetti, pur addicendosi con perfetta proprietà alla natura di ogni agente sonoro, apparisce umanizzato; e ciò è vero, in quanto la loro declamazione o il loro canto, per una formazione quasi sillabica, sembrano la traduzione di un fraseggio verbale. A ciò aggiungasi l'amore dei contrasti drammatici anche qui vivissimo, la tendenza alla solennità costruttiva (derivata dalla polifonia vocale) e si avrà abbastanza compiutamente tratteggiata la fisionomia della musica strumentale del Pizzetti. Fisionomia mantenuta con coerenza di linee dai Tre Intermezzi per l'Edipo Re di Sofocle, che contano ormai sei lustri di vita, al Quartetto, alle due Sonate (per violino e per violoncello), al Trio in la, fino alle più recenti e grandiose opere sinfoniche, che in questo libretto verremo illustrando.
Vita quanto mai raccolta, operosa e dedita all'arte e alla tenerezza familiare, quella d'Ildebrando Pizzetti non offre materia biografica d'interesse romantico. In essa l'attività del compositore si completa con quella del maestro dei giovani, nobile ufficio ch'egli ha svolto prima per qualche anno a Parma, indi a Firenze come professore di composizione e direttore di quel Conservatorio «Cherubini», dal 1924 come direttore del R.° Conservatorio di Milano.
Infine si debbono al pensoso maestro emiliano parecchi scritti critici, disseminati in vari periodici italiani e conferenze d'argomento musicale, ch'egli ha tenuto in Italia e nelle due Americhe.
Nel campo dell'esecuzione si è fatto apprezzare come direttore d'orchestra in teatri e sale da concerto, sia in patria, sia all'estero.
TRE PRELUDI SINFONICI per l’Edipo Re di Sofocle. Prima esecuzione: Milano, 1903. Direttore C. Campanini.
Chi ricordi che questi tre brani risalgono alla prima giovinezza del loro autore (come abbiamo accennato nelle note che precedono) potrà restare stupito dalla saldezza della costruzione, dalla severa originalità delle idee, dalla sicurezza della fattura sinfonica.
Il primo Preludio, un Largo, presenta in semplice nudità un tema su tre ottave, tragicamente desolato, in mezzo al quale un inciso cromatico (oboe e fagotto) sembra quasi un singhiozzo. Comparisce poi un secondo tema vigoroso (corni), che si avvicenda col primo. Segue a questa parte un episodio legato di genere quartettistico, che, per mezzo di un crescendo, conduce ad uno sviluppo più mosso, fondato sul contrasto dei due primi motivi.
Nel secondo Preludio, «Impetuoso», una figura violenta, articolata dalle corde e dai legni, viene placandosi a poco a poco, per cedere il posto ad un canto tranquillo e nostalgico dell'oboe, sostenuto da un tremolo di viole. Riprende poi l'agitato movimento iniziale.
Frasi dolorose degli oboi, accompagnate da un disegno insistente degli archi, aprono il terzo Preludio, nel quale le combinazioni polifoniche assurgono verso la fine ad un profondo significato di sentimenti collettivi, attraverso una trenodia tutta soffusa di maestà e di dolcezza.
LA PISANELLA, Suite Sinfonica.
La collaborazione musicale prestata da Pizzetti a Gabriele D'Annunzio per La Pisanella o La morte profumata non avrebbe forse avuto, dopo la prima esecuzione allo Chatelet di Parigi nel 1913, la diffusione che meritava, se l'autore non ne avesse tratto una suite orchestrale da eseguire in concerto. I cinque episodi che la costituiscono si succedono in quest'ordine:
1°) Sir Huguet. È il breve preludio del prologo, in cui si presenta plasticamente rilevata la figura del re sognatore.
2°) La Pisanella, preludio del primo atto, impostato sul lungo e passionale tema della protagonista.
3°) Au château de la Belle sans merci, preludio del terzo atto.
4°) Danza dello sparviero, scritta per soli archi e mirabilmente suggestiva.
5°) Danza della Morte profumata. È questo il brano che s'accompagna all'azione finale della tragedia. e nel quale il senso del poema dannunziano apparisce più profondamente sentito e più drammaticamente espresso nella evidenza del gesto musicale.
CONCERTO DELL'ESTATE. Prima esecuzione: New York 1929.
Direttore: A. Toscanini.
Il titolo di questa composizione, scritta da Pizzetti a Cortina d'Ampezzo, può forse richiamare alla mente i famosi Concerti delle Stagioni di Vivaldi; ma lo spirito che l'anima e le intenzioni in essa svolte sono assai diversi.
Infatti, mentre nella suite del sommo violinista veneziano dobbiamo scorgere uno dei più antichi, e più mirabilmente riusciti, tentativi di musica a programma, nel Concerto dell'Estate non v'è che l'espressione soggettiva dei sentimenti dell'autore dinanzi ai grandi quadri della natura. Un poema dunque essenzialmente lirico in tre canti, o, se si vuole, una sinfonia moderna in tre tempi.
Questi, che si distinguono coi titoli Mattutino, Notturno, Gagliarda e Finale, corrispondono ai più caratteristici momenti della giornata entro il superbo quadro della natura montana: all'alba dolce e fresca che ammanta ogni cosa di serena gaiezza; alla notte, madre di ombre pie o di misteriose luci stellari; al forte meriggio, fulgente di sole e solenne nella calma che Pan l'eterno dona alla terra.
RONDÒ VENEZIANO. Prima esecuzione: New York, Febbraio 1930. Direttore: A. Toscanini.
L'A., seguendo la propria natura di artista soggettivo, anche in questa composizione ha badato piuttosto ad esprimere i propri sentimenti dinanzi alla incomparabile suggestione di Venezia, piuttosto che fare dal venezianismo descrittivo di maniera. Egli ha scelto la classica forma del rondò – modernamente inteso – perchè il periodico ritorno di un'idea madre (è quella dell'inizio) poteva formare lo sfondo comune di un sentimento nostalgico alle varie parti del quadro. Queste sono essenzialmente tre: un movimento di Sarabanda, che rispecchia l'indole pomposa dell'antica città dei dogi; un Largo molto espressivo, in cui il duettare del primo violoncello col primo violino rendono l'immagine di un notturno convegno di amanti; infine una gioiosa Furlana, a pittura dello spirito festaiolo popolare.
Per queste sue qualità di evidenza plastica, la musica del Rondò Veneziano si è potuta più tardi accompagnare ad un'azione coreografica; e appunto in forma di balletto è stata eseguita alla Scala di Milano nell'inverno del 1931, sotto la direzione dell'autore.
INTRODUZIONE ALL'«AGAMENNONE» di ESCHILO per coro e orchestra. Prima esecuzione in concerto: Aprile 1931. Direttore: A. Toscanini.
Destinata alle rappresentazioni del Teatro greco di Siracusa, la musica per l'Agamennone ebbe la sua esecuzione con la scena nella primavera del 1930. Ne fu tratta poi una composizione sinfonico corale da concerto. Essa comprende un Preludio di espressione sostenuta e severa, a cui segue un suggestivo coro a bocca chiusa. Un breve movimento concitato precede una Danza dalle molli ondulazioni in principio e poi sempre più animata.
Dopo alcune parole del testo eschileo proferite dei tenori, si snoda un'ampia conclusione corale vocalizzata, di grandiosa espressione tragica e ricca di polifonia, che si unisce da ultimo alle dolenti frasi del preludio, riprese dall'orchestra.
Si eseguiscono poi in concerto i preludi delle opere Fedra e Lo Straniero; mentre attende di comparire nei programmi sinfonici un brano intitolato «La Caccia di Sant' Uberto», composto dal Pizzetti per una coreografia, eseguita al Teatro Regio di Torino nel 1930 in onore dei Reali Principi di Piemonte.

Giulio Cesare Paribeni
Sinfonisti italiani d'oggi. Guida per i radio-amatori dei concerti
Musica sinfonica, da camera e varia n. 6-8
Milano, ERTA - Edizioni Radio Teatrali Artistiche, 1932