Giovanni Battista Sammartini

SAMMARTINI (Gio. Batt.), maestro di cappella assai celebre del suo tempo, e uomo singolare, nacque in Milano verso la fine del secolo XVII; fu prima suonatore d'oboe, e poi di violino. Devesi a lui l'uso del mordente, delle note sincopate, delle contro arcate, e delle punteggiature continuate, le quali grazie, se pure si conoscevano, non erano in grande uso: egli le introdusse nel violino, come è facile di rilevare dalle sue composizioni confrontate con quelle de' precedenti scrittori. Sammartini, dotato d'ingegno creatore, imparò il contrappunto da se, e si diede a scrivere musica instrumentale, singolarmente dei trio, e delle sinfonie. Il Generale Pallavicini, governatore di Milano, gli fece comporre le prime sinfonie a grande orchestra. Si sonavano esse in buona aria sulla mezzaluna della cittadella a divertimento dei cittadini che a diporto trovavansi nella sottoposta spianata le sere d'estate. Il Paladini, che morì troppo giovane, il Lampugnani, che il primo cominciò a lussureggiare negli accompagnamenti delle arie, ed altri gareggiavano su quel parapetto, divenuto sede e teatro di una guerra tutta piacevole col Sammartini, il quale tutti li vinse per la copia, il fuoco e la novità, sebbene rimanesse molto al di sotto del Paladini e degli altri per la scienza degli accordi. Fu in quelle sinfonie che si sentì per la prima volta il gioco separato dalle viole che da prima suonavano col basso, e che udironsi movimenti continuati di violini secondi, i quali si fecero con bella novità scorrere per un modo tutto diverso di quello dei violini primi. Anche il Sammartini aveva pratica cognizione di tutt'i strumenti, e fu da lui che la apprese, il Gluck, stato per più anni suo scolare. Se a questi pregi unito avesse il Sammartini una più fondata teoria, e una maggiore applicazione avrebbe avuto l'Italia il suo Haydn, prima che lo avesse l'Alemagna. Il Sammartini non fu sì felice nella musica vocale come lo era nella strumentale. Eccitato dai generali voti della sua patria, compose un'opera seria per quel teatro, e non piacque punto. Che anzi era egli il primo a burlarsi di se medesimo quando si rammentava quella sua produzione. Fu però essa la prima e l'ultima di tal genere, mentre non volle più comporre pel teatro, e fuori di qualche oratorio sacro, non abbiamo di lui altra cosa drammatica. Egli, come dissi, fu maestro del Gluck per dieci anni, e basta confrontare la musica instrumentale di Gluck con quella del maestro per capire quanto gli dovesse. L'Haydn stesso molto apprese per la parte ideale osservando le opere del Sammartini, benchè più volte detto avesse al suo amico Carpani non dover nulla a lui, aggiungendo di più ch'egli era un imbroglione. Ma confrontando le prime composizioni dell'Haydn con quelle del Sammartini si vedrà di quante idee, di quante bizzarríe e di quante invenzioni di questo rinomato scrittore si giovasse l'Haydn, non già da vile plagiario ma da maestro. Il Misliwechek trovandosi in Milano ad una accademia, e sentendovi alcune vecchie sinfonie del Sammartini, della di cui musica non aveva in prima contezza, proruppe in questa esclamazione: ho trovato il Padre dello stile d'Haydn! Il maestro Venceslao Pichl inclinava anch'egli alla opinione del suo patrioto; ma l'Haydn era troppo buon contrappuntista e troppo amico dell'ordine, e di quella regolata condotta che si trova in uno stile puro e ragionato, per imitare di proposito quel capricciosissimo milanese che nel creare non badava più che tanto alla tessitura, ma seguitava all'impazzata gli impeti della sua fervida fantasia, e quindi aveva quà e là dei lampi bellissimi, contigui a masse tenebrose di nubi. Il conte d'Harrach governatore della Lombardia Austriaca portò il primo a Vienna la musica del Sammartini, la quale subito ottenne applausi e voga in quella gran capitale. Il conte Palfi, il conte Schönborn, il conte di Mortzin, ed il principe Esterhazy facevano a gara in procurarsene della nuova, e quest'ultimo signore destinato aveva in Milano un banchiere per nome Castelli a pagargli otto zecchini d'oro per qualunque composizione gli desse per sua altezza. Il dottor Burney conobbe il Sammartini in Milano nel 1770, e scrive ne' suoi Viaggi pag. 95 di avere inteso una messa seguita sotto la sua direzione nella chiesa del Carmine. “Gli accompagnamenti, egli dice, erano ingegnosissimi, pieni di brio e di un fuoco tutto proprio di questo compositore. La parte instrumentale delle sue composizioni è fatta a maraviglia. Nessuno degli esecutori può restare lungamente in ozio. I violini soprattutto non hanno mai riposo; si potrebbe per altro desiderare ch'egli ponesse la briglia al suo pegaso, poichè sembra portarsi seco il cavaliere fuggendo di scappata. E per parlar fuori di metafora, la sua musica piacerebbe ancor più se fosse meno ricoperta di note e men ripiena di allegri; ma l'impetuosa foga del suo genio lo sforza a percorrere una successione di rapidi movimenti, la quale alla lunga, stanca l'esecutore e l'uditorio.” Alla pag. 103 parlando d'un'altra messa del medesimo dice, “Il Sammartini mi ricompensò de' movimenti posati de' quali mi aveva defraudato nella messa di giovedì, mediante un adagio che era veramente divino.” Rousseau nel suo dizionario parlando di composizioni eccellenti non ne nomina, in monte, che due, Un adagio, dic'egli, di Tartini, un andante di Sammartini, e di fatti questi suoi andanti eran degni di Anacreonte. Questa piccola biografia deesi all'erudito Carpani, giacchè la fama, egli dice, non ha parlato di lui quanto meritava (Lettera IV).
Giuseppe Bertini
Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de’ più celebri artisti di tutte le nazioni si’ antiche che moderne
Palermo, dalla Tipografia Reale di Guerra, 1814